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Tutti innamorati della Malvasia
Id articolo n.: 3912
Pubblicato il : 20/8/06
Nell’Ottocento era lo “sciroppo di zolfo”, oggi
è il simbolo delle Eolie grazie a produttori estremi..........
Nei Paesi vicini ha seminato splendide tracce soprattutto a Sitges,
in Catalunya, e in Istria. Da noi ha finito per colonizzare anche
Castelli Romani, Monferrato, Collio, Chianti, Alto Adige, colli
piacentini. E la sua lunga mano è planata anche in Sudafrica,
California, Cile, Australia. La famiglia della malvasia conta oggi
su un numero biblico di figli di passaporto diverso. Ma i suoi primi
grappoli, bianchi e allungati, spuntarono millenni fa a Monemvasia,
porto greco del Peloponneso da cui salpò per un’odissea
che, più serena di quella della ciurma di Ulisse, non trovò
resistenze nelle isole del Mediterraneo. Grazie alla recente rassegna
Malvasia wine & tour siamo riusciti a tirare le fila di quest’esodo
secolare, almeno nei suoi approdi isolani più felici.
MALVASIA DELLE LIPARI. Di tutte le 17 doc di malvasia a registro
in Italia, quella delle Lipari è certo tra le più
interessanti. Il suo disciplinare prevede da più di 30 anni
malvasia naturale (da pasto), passito di malvasia (dessert) e malvasia
liquorosa, tre tipi il cui taglio deve essere appena ambrato da
un 5-8% di Corinto nero. Inutile dilungarsi sui bi-millenari trascorsi
eoliani di questo nettare che comunque, a fine Ottocento, trascinava
qui poeti come Guy de Maupassant, stregato dalle esalazioni dello
«sciroppo di zolfo». La
prima Malvasia delle Lipari come la intendiamo oggi fu partorita
negli anni Trenta da Nino Lo Schiavo, intellettuale che la usava
anche per ripagare i favori al medico di famiglia o all’avvocato.
Da malvasia del disobbligo che era, oggi è il nettare che
fa ammattire una sessantina di produttori, quasi tutti asserragliati
a Salina, la più schiva delle sette isole (ma c’è
qualche fazzoletto vitato anche a Vulcano, Lipari e Filicudi). Ammattire
perché la definizione «angeli matti» di Luigi
Veronelli ben calzerebbe anche a questi produttori che si fanno
il mazzo su vigneti con pendenze da brivido, imprecando per gli
impianti obsoleti e per la manodopera che spesso non si trova neanche
a cercarla col lanternino. In queste condizioni, nel 2005 sono riusciti
a produrre 500 ettolitri di malvasia, molti passito: l’appassimento
delle uve per 7-15 giorni su graticci di canne sui tetti delle case
è una pratica mitologica, in senso temporale e qualitativo.
Tra i matti più blasonati c’è Carlo Hauner,
090.6409427, 12 ettari vitati da cui escono, oltre a superbi capperi
(dop), cucunci (i frutti della pianta del cappero, ottimi sottaceto)
e malvasie naturali e passito, poche e preziose bottiglie di un
Riserva invecchiata in botti d’acciaio. C’è poi
l’azienda Fenech, 090.9844041, 4 ettari strappati alle pendenze
del comune di Malfa: non si sa se sia più folkloristico il
suo patron Francesco, melodrammatico armadio d’origini maltesi,
o più aromatico e ben strutturato il passito che imbottiglia.
E si fa un torto a non citare i malvasia da dessert di Virgona,
Antonino Caravaglio (presidente del Consorzio di tutela locale),
Barone di Villagrande, Giona o Salvatore D’Amico, uno che
col suo passito fa uscire di senno i reali del Belgio. Salvo schermaglie
tutte siciliane, le loro fatiche dovrebbero esser presto riconosciute
da una “g” in più, quella della Docg.
MALVASIE DI SARDEGNA. La malvasia si esprime anche con una splendida
cadenza sarda. Anzi, due. La prima è quella più femminile
e delicata di Bosa, borgo della trascurata (chissà perché)
costa occidentale della Planargia. La seconda è quella più
strong, mascolina del Campidano, attorno a Cagliari, nel sud dell’isola.
La Malvasia di Bosa, con la vicina Vernaccia di Oristano, è
stata tra le prime italiane a ottenere la doc, disciplinare che
prevede 5 tipologie: dolce naturale, secca, liquorosa dolce naturale,
liquorosa secca e liquorosa dry. I 450 produttori, qui eroici più
che altro perché non piove mai, si spartiscono 300 ettari
vitati a malvasia. Segnaliamo il Bianco secco imbottigliato da Battista
Columbu, 0785.373380, e il sorprendente spumante demi-sec della
Cantina Sociale di Planargia, 0785.34866. La Malvasia di Cagliari,
doc dal 1979, può essere invece dolce, secca o liquorosa:
nel Campidano le continue brezze marine, oltre ad alleviare dalla
caldazza, danno forma a vellutate pozioni come la Gutta ‘e
axina dell’azienda Villa di Quartu, 070.826997.
MALVASIE ATLANTICHE. Nel suo peregrinare, il vitigno ha valicato
anche le Colonne d’Ercole, virando subito a sinistra verso
Madeira e Canarie, due avamposti eccezionali. Nell’isola portoghese,
malvasia si dice «malmsey», storpiatura anglosassone
che non cambia la sostanza, anzi la cambia parecchio: dalla terra
dei vini fortificati escono in prevalenza nettari liquorosi invecchiati
di qualità superiore come il 10 years old di Justino’s
Madeira, www.justinosmadeira.com. Nell’arcipelago spagnolo,
invece, si sbizzarriscono con tre tipi di malvasia bianca, ognuno
col nome di un’isola: Malvasia di Tenerife, di Lanzarote e
di La Palma. Solo quella di Tenerife comprende 5 doc. E a La Palma
fanno crescere l’uva anche su aridi terreni di lapilli, con
muriccioli di pietra cinti a proteggerle. La cantina di riferimento
è la El Grifo di Lanzarote, www.elgrifo.com. Menzione finale
per le malvasie di Candia e di Candia aromatica, due varietà
appena reimpiantate sull’isola di Creta, www.cretanwines.gr:
in Grecia stanno cercando di riportare la malvasia all’ovile.
Fosse Itaca, sarebbe un finale di odissea perfetto.
Gabriele Zanatta
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antonio
7° Lo schiavo di S.Marina