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Schiavi o Slavi ?
Pubblichiamo
in questa ulteriore pagina personalizzata, il più recente lavoro
di Aldo C. Marturano che analizza, con una profonda indagine
storica e una altrettanto competente speculazione, l'eterno dilemma che
attraversa la vita di tutti quelli che si chiamano LOSCHIAVO (o
con tutte le variazioni oggi utilizzate) presentando ampie argomentazioni
su scenari medioevali che attualizzano le implicazioni linguistiche legate
al "nostro" cognome.
Queste teorie sono brillantemente esposte da ALDO
C. MARTURANO che si è rivelato grande amico del
sito www.loschiavo.it. e che, pur non avendo interessi
personali di cognome o di ascendenze, si è impegnato nell'approfondimento
di argomenti invece per noi molto interessanti.
Come già detto in altra sede ospitiamo con gratitudine le Sue opinioni
perché Egli rappresenta uno dei più autorevoli studiosi
moderni del Medioevo Russo e di tutta l’area geografica “SLAVA”
.
MEMENTO :La trascrizione integrale delle suddette teorie
si integra perfettamente nella visuale garantista di questo sito che presenta,
a coloro che ne fossero interessati, le diverse linee di pensiero riguardanti
gli argomenti di cui sopra ed inoltre apre le proprie pagine a tutti coloro
che hanno il desiderio e il piacere di voler fornire dati nuovi, notizie
o quant’altro serva a meglio chiarire qualsiasi affermazione già
fatta in questo website.
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Schiavi o Slavi ?
di Aldo C. Marturano © 2008
Il Nord Russo era conosciuto dagli autori musulmani che descrivono
le Terre Settentrionali come il Paese degli schiavi “bianchi”
ossia Bilad as-Saqalibat e le fonti sono affidabilissime poiché
gli autori scrivono per averle visitate personalmente (più di qualcuno)
o per notizie raccolte da altri autori altrettanto di fiducia o persino
per eredità culturale da autori classici anteriori. Saqalibat non
è altro che un adattamento del greco Sklavinos o Sklabenos/Stlabenos
alla fonetica araba mentre “bianchi” l’abbiamo aggiunto
noi in quanto il colore della pelle costituiva un segno distintivo e selettivo
nella classificazione di questa merce umana nordica nei secoli dal IX
al XIV d.C. E’ possibile che fossero proprio i greci (di Costantinopoli
e del Levante siriano) ad aver trasmesso ai mercanti la notizia dove poter
comprare gli schiavi da quando i Germani, essendo diventati parte del
“popolo romano” e addirittura l’élite dell’Impero
Franco, non erano più “merce vendibile”.
Tutta questa storia è già nascosta nella parola che si diffuse
intorno al X sec. in tutte le lingue romanze (come in italiano) e che
indicava gli schiavi! Schiavi e Slavi non sono che due varianti dell’etnonimo
attribuito dai classici greco-romani alle popolazioni che premettero intorno
dal V-VII sec. sui confini dell’Impero. Né è superfluo
aggiungere che i mercanti di schiavi più famosi furono gli ebrei
detti rahdaniti nel X-XI sec. seguiti poi da Venezia la quale, dal X sec.
fino alla scoperta delle Americhe, ne custodì l’esclusiva.
La prima domanda che dobbiamo porci adesso è: Chi era lo schiavo
e come diventava tale?
Ci siamo ripromessi di non addentrarci nella giurisdizione alla quale
lo schiavo era soggetto nei vari paesi europei e nei paesi limitrofi,
in quanto lo giudichiamo un argomento farraginoso e complesso e che va
trattato separatamente da quello del traffico commerciale, dove invece
si accentra il nostro interesse, e dunque rimandiamo il lettore interessato
ai lavori specialistici. In questa sede accenneremo a grandi tratti soltanto
a qualche aspetto legale sulla schiavitù, lasciando da parte specialmente
i concetti di libertà, di limitazione dei diritti civili etc. che
nell’epoca che attraversiamo (IX-XIV sec.) hanno definizioni lontanissime
da quelle di oggi e richiedono perciò una preparazione culturale
notevole al lettore non sia “ben armato”.
Vediamo allora qualche caso tipico di come si può “cadere
in schiavitù”. Il primo è il destino di un soldato
perdente il quale, se non riusciva a sfuggire alla cattura alla fine dello
scontro, era portato via prigioniero dal vincitore (origine dello stato
del celjad’ in russo). Per questo giovane c’erano poche buone
opzioni sul proprio destino futuro. Ad esempio, nel caso più fortunato
poteva essere riscattato dai suoi, se il vincitore aveva tempo e voglia
di contattare il signore perdente e istallare delle trattative a questo
scopo con le persone giuste. Il che accadeva molto raramente per un soldato
semplice, mentre era più possibile per una persona di alto rango.
Dunque gli schiavi erano una parte del bottino vinto in battaglia e se
ancora in buona condizione fisica, altrimenti, se feriti o moribondi,
venivano abbandonati al loro destino. Tuttavia, in moltissimi casi, erano
trascinati in schiavitù anche i famigliari dei soldati, se accompagnavano
l’armata, ossia donne e bambini. Se poi teniamo presente che nell’epoca
che ci interessa la guerra e gli scontri erano pane quotidiano sia d’inverno
che nella bella stagione, possiamo pure immaginare come gli schiavi ottenuti
dopo uno scontro costituivano un approvvigionamento di uomini abili quasi
regolare. Non valevano però molto perché erano già
“vecchi” secondo gli standard di vita del tempo ed era poi
difficile mantenerli o metterli al lavoro, mentre le donne e i bambini
erano in realtà più utilizzabili “con profitto”.
Dalle notizie che abbiamo, sappiamo che gli Slavi non erano soliti tenere
schiavi per lungo tempo e dopo un certo numero di anni veniva concessa
la scelta a questi prigionieri di andarsene per proprio conto o di entrare
a far parte della comunità in cui ormai si trovavano, formandosi
una famiglia propria. Tuttavia altri autori che scrissero sugli Slavi
in epoca anteriore ammettevano che i prigionieri risparmiati alla schiavitù,
talvolta erano sacrificati agli dèi!
A parte ciò, è chiaro che nessuno di questi casi interessava
i mercanti per farne traffico.
Nella società cittadina – nella Rus’ di Kiev si era
appena ai suoi inizi – un modo per trovare lavoro o per vivere meglio,
se non si avevano altre possibilità, era quello di vendersi ad
un facoltoso padrone in modo da assicurarsi difesa, cibo, rifugio e quanto
serviva alla propria vita quotidiana (stato di rab o slugà in russo).
Essere specialisti nel saper fare qualcosa, permetteva logicamente di
esser accolto meglio dal padrone eventuale come artigiani, sempre con
alloggio e vitto (talvolta vi si trovava la sposa) inclusi, non esistendo
un vero contratto di lavoro come oggi. Questo fu il caso più comune
dei lavoranti di Novgorod presso le cascine di città dei bojari
della repubblica o dei prigionieri russi ritrovati a Qara Qorum in Mongolia
da Giovanni da Pian del Carpine nel XIII sec.
Oppure si diventava schiavi per obblighi non onorati o per debiti pregressi
e, addirittura, per debiti ancora da fare ossia per crediti (stato di
holop in russo). Era abbastanza comune per i contadini in seguito a qualche
mattana naturale, inondazione o incendio o pestilenza e simili, di impelagarsi
in accordi di questo genere, talvolta molto rischiosi. Infatti essendo
una schiavitù a tempo determinato, c’era il caso di ritrovarsi
a servire il creditore furbo per tutta la vita, se non si erano fatti
patti molto chiari!
Anche questi schiavi non erano “roba” da traffico, come si
capisce bene. E allora dove trovavano i mercanti questa merce?
In verità abbiamo messo da parte un altro tipo di schiavitù
o di vendita di “merce umana” che ancora oggi si fa, sebbene
poi la si mascheri sotto altri nomi eticamente più accettabili
nella monetizzazione odierna, ossia la vendita dei propri figli.
Prima però di parlarne più in dettaglio, ricordiamo dove
andavano a finire e come erano impiegati questi schiavi.
Sull’argomento purtroppo la letteratura è scarsissima perché
pochi contemporanei s’interessarono dei destini degli schiavi salvo
che come decoro e ornamento nelle descrizioni delle grandi dimore e delle
grandi corti in cui se ne contavano a migliaia oppure nelle molto più
tarde considerazioni “etiche” della Chiesa di Roma sulla schiavitù
in generale.
In questi secoli di bassissima automazione moltissime attività
che oggi sono compiute da macchine erano allora fatte da uomini o donne
e non solo perché richiedevano lo sforzo continuo di più
persone, ma anche perché certe attività e certi lavori erano
considerati “inferiori” o troppo impegnativi dall’élite
al potere e dai loro emuli e quindi era preferibile che li eseguissero
altri di rango più basso. E qui entra benissimo il mercante poiché
questo era il genere di merce che fruttava di più di ogni altra
simile con clienti che erano in grado di pagar bene.
Distinguiamo così tre tipi di schiavi principalmente:
1. da mettere in servizio militare permanente
2. da impiegare per i lavori domestici (compresi i servizi sessuali)
3. per i lavori pesanti e ripetitivi
Per quanto riguarda il primo tipo, il mercante lo ritrovava presso i popoli
della steppa ucraina e asiatica dove i ragazzi già puberi erano
“venduti” sapendo già cavalcare e tirare d’arco.
Erano considerati schiavi di ottima qualità e, se teniamo presente
che costoro riuscirono a fondare addirittura una dinastia di governo “egiziana”
ossia i Mammelucchi (dall’arabo mamluk ossia “uomini di proprietà
del signore”), possiamo immaginare come fossero apprezzati e che
carriere potessero percorrere (vedi il Saladino). In questo caso gli schiavi
erano di sesso maschile e il serbatoio di rifornimento era il cosiddetto
Paese dei Turchi ossia Bilad al-Atrak.
Per quanto riguarda il terzo tipo di schiavi, la fonte primaria era l’Africa
Nera (Zinj nelle fonti arabe) e i giovani erano quasi sempre di pelle
molto scura, quasi a voler riconoscere subito che tipo di lavoro facessero
rispetto ad altre persone di servizio con la pelle più chiara.
Erano di entrambi i sessi ed avevano un prezzo più basso rispetto
agli altri perché considerati di qualità inferiore (!!).
E finalmente giungiamo agli schiavi slavi che erano inclusi nella stragrande
maggioranza nel secondo tipo! Erano di tutt’e due i sessi, di alto
prezzo e destinati ad attività varie e particolari, tanto da richiedere
spesso interventi corporali!
Naturalmente sull’argomento schiavi occorre abbattere degli stereotipi
e noi lo faremo adesso.
Per comprendere meglio questo traffico che durò per secoli (ma
non dura ancora oggi?) e che in pratica fu una vera e propria migrazione
quasi forzata di migliaia e migliaia di persone da una parte all’altra
del continente eurasiatico dobbiamo dire che fruttò fior di quattrini,
non solo a chi semplicemente trafficava, ma anche a chi percepiva gabelle
e pedaggi.
Che questi ragazzi e ragazze fossero poi trattati male dai mercanti è
un’assoluta menzogna. Costavano talmente tanto e il prezzo era riscosso
soltanto se la “merce” si presentava bene! Figuriamoci quindi
se non venissero curati affinché arrivassero a destino in piena
forma! Di certo viaggiavano ben nutriti, ben puliti e in ordine. E il
viaggio era pure lungo. Per dare qualche esempio diremo che da Kiev a
Costantinopoli ci voleva circa un mese mentre per giungere a Cordova ce
ne volevano anche tre. Si può quindi immaginare quali spese incontrava
il mercante per questi ragazzi che doveva tenere in ozio per risparmiarli
dalle fatiche.
Un altro quadro sbagliato è quello di vedere sempre gli schiavi
esposti al mercato! Al contrario! Quelli destinati alle corti signoriali
erano già prenotati e quindi non dovevano neppure essere visti
per sbaglio dall’acquirente occasionale. Al limite, soltanto quelli
scartati andavano successivamente sul mercato!
Nei dipinti poi a volte vediamo schiavi incatenati o con le braccia legate
e il mercante con la frusta in mano che volge loro uno sguardo che sembra
minaccioso perché promette di batterli a sangue. Anche questo non
è il caso per gli schiavi saqaliba! Erano presentati nudi affinché
non si nascondessero eventuali difetti fisici ed erano palpati e guardati
in tutti i recessi corporei… questo sì! Alla fine non era
un grande scandalo per i costumi dell’epoca, perché i giovani
erano già puberi e dunque la loro era una nudità innocente
e artistica, se così si può dire.
E vediamo un po’ di capire come e dove venivano raccolti. Nemmeno
qui le fonti sono di grande aiuto e tutt’al più possiamo
dedurre come avvenisse la “raccolta” dal folclore nordico
che probabilmente ne ha conservato nelle favole un lontano ricordo “cristianizzato”.
Si può esser sicuri che, dietro le Fiabe tedesche di Grimm come
Pollicino o delle Byline russe sulla Baba Jagà, si è tramandato
proprio tutto un complesso di eventi legato giusto alla vendita degli
schiavi giovanetti!
Partiamo allora dalla precaria economia contadina, basata sullo sfruttamento
d’un appezzamento di terreno che col passar del tempo cala di rendimento.
Ad un certo momento la resa agricola non permette che il numero di persone
nutrite si accresca oltre e, data l’alta natalità (ma anche
tenendo conto della grande la mortalità perinatale e della selezione
rispetto alla resistenza alle malattie) bisogna liberarsi delle bocche
in soprannumero… pena la penuria di cibo per tutti!
Per le ragazze di solito c’era il matrimonio esogamico che ribaltava
il problema della bocca in più ad un’altra famiglia in un
altro villaggio (la famosa famiglia allargata degli Slavi del sud, la
zadruga, qui nel nord infatti era molto meno diffusa).
Per i maschi invece occorreva trovare un altro esito e così, per
il loro bene, ma anche per il bene di tutti, i ragazzi venivano –
addirittura! – portati al mercato per affidarli a chi li volesse…
pagando qualcosa. Alla fine di tutti questi percorsi possibili (ricostruiti)
ecco che qualche genitore più lungimirante che amava davvero i
figli decideva di affidare i propri (e quelli di altri che erano d’accordo
con lui) al mercante di bambini. Niente di diverso di quello che si fa
oggi ovunque e ancora nel mondo, magari in modo più protervo!
Premesso questo, ipotizziamo dei termini di “consegna”.
Anzitutto è fuorviante pensare a grandi numeri, sebbene i censimenti
degli schiavi adulti presenti in ogni corte musulmana, ma anche nel Laterano,
citate da M. Lombard parlino di una decina di migliaia di schiavi slavi
per corte. A nostro avviso, sono numeri globali dopo un certo numero di
anni perché, da altri paragoni documentari che abbiamo trovato,
un dato più reale è al massimo una cinquantina di ragazzi
(e ragazze insieme) per ogni spedizione dal Nord. Sono condotti in un
certo luogo dove il mercante (forse dietro l’Uomo Nero delle favole,
il Karaciùn, si nasconde proprio costui) li esamina, fa un prezzo,
lo paga (di solito in natura) al genitore e finalmente li può portar
via con sé.
Quanto poi all’immaginare carovane di schiavi giovinetti commerciati
dai Rus’ e dai Rahdaniti come una triste processione di ragazzi
frustati a sangue o trattati male, è assolutamente irreale! Altro
errore è pensare sempre a catture forzate nei villaggi slavi o
finnici del Nord per ottenerne, benché dobbiamo ammettere che talvolta
ciò accadde.
A Costantinopoli (e in generale nel mondo cristiano) lo schiavo era visto,
sì, con pietà, ma anche come colui che colpito dal peccato
era caduto tanto in basso per volontà di Dio e perciò, quella
che fosse la sua funzione, finché non avesse espiato le sue colpe,
era considerato come un uomo in penitenza perpetua. In questo quadro ideologico
perciò rientra bene la descrizione che Costantino VII Porfirogenito
fa degli schiavi slavi portati dai Rus’ ossia: incatenati e mandati
avanti a spintoni dai padroni. Questo infatti era il modo che i Rus’
erano obbligati a rispettare per portarli in città… secondo
le prescrizioni di polizia previste come corollario al Trattato di Olga
di Kiev del 947 d.C.! L’accesso nella capitale imperiale era possibile
esclusivamente ad un certo numero di uomini che non poteva essere superato
(50) e perciò gli schiavi da vendere entravano in città
solo se legati come animali e non contavano come uomini veri e propri.
Per il mondo musulmano abbiamo la testimonianza di Ibn Fadhlan del 921
d.C. il quale fra le altre cose ci dice come gli schiavi saqalibat erano
alloggiati nella tenda del loro custode dove il compratore poteva andare
a guardarseli nudi e trattarne il prezzo. E’ chiaro che gli schiavi
più belli e speciali destinati ai clienti altolocati non erano
disponibili come ci dimostra la grande reticenza di un mercante Rus’,
Dilli, a dare in vendita una ragazza muta già promessa ad altri,
nel racconto della Saga degli uomini di Laxdal.
Insomma il destino che attendeva questi slavi giovanetti non era assolutamente
negativo, anzi! Perdevano la poca cultura che avevano acquisito durante
l’infanzia, ma ne acquistavano un’altra molto più elevata,
visto che diventavano membri di famiglie molto abbienti in luoghi d’Europa
di alta civiltà. Certo, dimenticavano la loro lingua e persino
il luogo dove erano nati e gli unici segni distintivi che denunciavano
la loro origine esotica erano il colore della loro pelle, i loro capelli
biondi e i loro occhi azzurro cielo. E addirittura, specie nei paesi musulmani,
erano quasi sempre circoncisi e sottoposti ad un regime giuridico molto
leggero e non oppressivo malgrado la loro attività dipendente,
proprio come membri di famiglia…
Inoltre la morale sessuale era diversa a quei tempi e, se una ragazza
era adibita esclusivamente ai servizi sessuali nella famiglia che l’aveva
comprata, non c’era gran che di male, salvo le lamentele dei soliti
benpensanti musulmani che si preoccupavano che queste “slave”
dessero al mondo figli malaticci… a causa del colore così
pallido della loro pelle! Lo stesso Ibn Fadhlan sorprende un venditore
Rus’ in accoppiamento con una delle schiave e si adombra perché
costui completa il suo coito prima di rivolgersi al cliente che sta ad
attendere guardando! Allo stesso modo non c’era nulla di male che
i maschietti, destinati già ad una carriera più prestigiosa,
fossero castrati (Samarcanda, Verdun, Ratisbona erano dei centri rinomati
per questo, dove i medici ebrei sapevano far bene tali operazioni senza
conseguenze per la salute futura dei piccoli pazienti).
Perché evirarli? Evidentemente ciò era fatto con lo stesso
criterio con cui si castravano i torelli ossia per calmare i loro bollenti
spiriti! Soprattutto lo si faceva affinché non si creassero problemi
di prole illegittima con le donne di casa! Tuttavia integri sessualmente
erano adibiti tranquillamente agli amori pederastici (o pedofilici che
dir si voglia) in voga in tutto il mondo mediterraneo, senza distinzione
di religione… salvo l’osservazione poco benevola di qualche
moralista cattolico del tempo al quale il mercimonio schiavistico era
odioso in sé e per sé.
E allora quali attività erano loro riservate? Per quanto ne sappiamo
e mettendo insieme ambienti cristiani e musulmani, le ragazze servivano
da domestiche, da badanti, da cuoche, da assistenti alle dame della casa,
da compagne di letto, da ballerine o da spogliarelliste. Gli uomini invece
ricevevano anche incarichi di fiducia quale dispensiere e magazziniere
oppure guardiano, scudiero etc.
Perché ci siamo fermati di più sul mondo musulmano? La risposta
è presto data: Le corti musulmane furono le più assidue
(durarono più a lungo, come clientela) nella compravendita degli
schiavi, rispetto alle cristiane. D’altronde la conquista musulmana
del VII sec. d.C. di gran parte dell’Impero Romano non aveva causato
distruzioni dei centri cittadini e dei mercati già esistenti e
dunque in queste “nuove” società più progressiste
in cui si fondevano il credo islamico con le abitudini bizantine (e sassanidi
nella parte più orientale), nelle strutture e negli impianti lo
schiavo era già presente: Non tanto come strumento vivente che
fa girare macine o che rema fino a spossarsi incatenato al banco sulle
navi perché questo tipo di schiavitù di solito era assegnato
ad un delinquente condannato ai lavori forzati (come il soldato vinto!),
quanto piuttosto come persona di servizi domestici. E di questi schiavi
si faceva mercato più intensamente, quasi che il mercante fosse
una specie di agenzia di collocamento al lavoro! E’ inteso pure
che per queste occupazioni i giovani non debbano soltanto star bene in
salute o essere forti e robusti, ma debbano essere soprattutto belli docili
e pronti ad accondiscendere a qualsiasi richiesta del padrone perché
li aspettano attività di fiducia e persino prestigiose. Poco male
se certi non hanno appreso un mestiere quando arrivano dal nuovo padre
e padrone, faranno il tirocinio qui!
Certo, se sbagliano, sono puniti e forse più duramente di altri
non schiavi, ma questo è naturale e dipende dall’umore e
dal carattere dei padroni più che dagli errori commessi…
Comunque sia, nell’Islam erano trattati meglio che in altri posti,
seguendo le raccomandazioni di Maometto quando il sant’uomo aveva
paragonato gli schiavi ai poveri e ai disabili degni di cura, di misericordia
e d’attenzione maggiori da parte di chiunque, credente oppure no.
E poi non fu forse la Spagna musulmana (al-Andalus) uno dei mercati di
passaggio per gli schiavi (specialmente le belle andaluse) che andavano
in acquisto presso l’Europa cristiana?
Intanto nella cornice della morale cristiana medievale, la schiavitù
non era da sopprimere e non rientrava esattamente nel quadro delle deliberazioni
dei Concilii, intese al miglioramento delle condizioni materiali e morali
delle persone fisiche. La politica della Chiesa Cattolica mirò
soprattutto acché questi uomini e queste donne non aumentassero
il numero degli infedeli (vista la loro origine prevalente dalle steppe
asiatiche già convertite all’Islam) e degli eretici (visto
che provenivano da un ambiente pagano o ortodosso come il Grande Nord).
Questa fu la posizione riflessa di Ottone I quando avvertì il Doge
Pietro IV Candiano che quel traffico di Venezia con gli schiavi Slavi
dal Mar Nero non gli piaceva perché lo metteva in cattiva luce
con gli Slavi dell’Elba! Per di più, come nel caso dei turchi,
rafforzavano le armate militari dei regni musulmani che premevano l’Impero
da tutti i lati. Non si paragonino questi o agli schiavi prima della pace
romana o a quelli del primo periodo carolingio, poiché intorno
al X sec., maschi e femmine, erano destinati (e lo ripetiamo) più
agli usi domestici e soltanto in minor misura ai lavori agricoli, come
era stato sotto l’Impero Romano antico. Pertanto: numero limitato
nei lavori logoranti, lunghi percorsi dal punto di “produzione”
ai mercati di vendita e guadagni notevolissimi per i mercanti (ricordiamolo!)
principalmente Rahdaniti e Veneziani.
Quanto costavano all’ultima vendita, detratte le spese di mantenimento,
viaggio e gabelle lungo gli itinerari?
Un nostro autore (l’archeologo F. Schlette) ci dà un prezzo
generico per il X sec. in area carolingia: 300 g d’argento che paragona
a quello d’un cavallo che ne costava quasi altrettanto o d’una
vacca, 100 g, o d’una spada, 125 g. Altri autori ci danno un prezzo
(minimo) di 10 nomismi d’oro o due rotoli di seta in area bizantina
nel IX sec.
Fatti i debiti conti (molto approssimativi) al genitore-venditore andava
un ben misero compenso in natura rispetto a quanto metteva in tasca il
mercante e tuttavia per l’economia rurale del tempo, quell’arnese
o quell’utensile ottenuto in cambio del figlio era abbastanza vantaggioso
da ripagargli l’allevamento e soprattutto perché prometteva
un futuro molto roseo al ragazzo partito per terre lontane che a casa
sua non avrebbe mai potuto avere a causa degli stenti derivati dalla sua
presenza.
I prezzi dati sopra sono comunque somme molto alte rispetto al tenore
di vita del tempo della gente semplice che viveva dove questi schiavi
venivano comprati e perciò solo un re o un signore di pari potenza
economica poteva permettersi di averne.
I clienti registrati comunque sono fra i più notevoli: La corte
musulmana di Baghdad, Costantinopoli, il Papa di Roma, le corti carolingie,
l’Egitto, Palermo, l’Arcivescovato di Magonza etc.
Ed ecco che si ripresenta il problema di individuare quali erano gli itinerari
mercantili più frequentati che portavano dal Nord russo al Mediterraneo
e come essi erano fra loro collegati e come evolsero, almeno fino al XIV
sec.
Prima di addentrarci in questo argomento diciamo subito che in questi
commerci l’unica città russa che ci guadagnò più
delle altre fu Kiev, rispetto a Novgorod, con le gabelle (in natura ossia
proprio qualche schiavo per mercante, di solito poi assegnato alla druzhina
del knjaz) e che la raccolta maggiore era nell’attuale Bielorussia
in cui Polozk e Druzk presentavano le vendite di schiavi più cospicue
fino al 1430!
Come vediamo una via preferenziale dalle Terre Russe del Nord fu il Dnepr
e quindi il Mar Nero, via Chersoneso in Tauride fino a Costantinopoli,
secondo il Trattato di Olga. Quelli diretti in Spagna, per al-Andalus,
invece usufruivano dei trasporti via mare che collegavano (ce lo dicono
le carte della famosa Ghenizà del Cairo) velocemente le coste palestinesi
o Alessandria d’Egitto con Almeria sul Mediterraneo o anche con
Siviglia, passato lo Stretto di Gibilterra. Il Mar Mediterraneo comunque
fu e si affermò come la strada più frequentata da questo
traffico…
Tuttavia la concentrazione lungo le coste meridionali baltiche di tesoretti
composti di monete d’argento coniate nel Vicino Oriente musulmano
ci dicono che gli schiavi passavano anche per di qua, certamente insieme
con altre merci. Andavano nelle corti del Regno Franco? Non ne abbiamo
la certezza, ma visto che i Vichinghi norvegesi trovavano mercato per
i loro prigionieri lungo il Mare del Nord, è possibile che anche
gli schiavi slavi prendessero le stesse vie oppure che, dalle coste del
Golfo di Biscaglia, arrivassero di nuovo in terra musulmana di Spagna.
Una domanda però è d’uopo fare a mo’ di conclusione:
A che e a chi serviva circondarsi di tanti schiavi?
Come abbiamo visto i clienti erano tutti facoltosi e nel Medioevo ciò
significava avere potere sugli uomini e costoro, la loro famiglia e il
loro gruppo avevano la necessità di mostrare questo potere, attraverso
l’ostentazione del prestigio dedicando tutti i loro sforzi finanziari
a questo scopo. Per allestire i continui spettacoli del potere (processioni,
mercati, sagre, compleanni del signore e simili liturgie) occorreva non
solo materiale e oggetti preziosi, ma anche tantissimo tempo perché
le cerimonie e la preparazione alle stesse lo richiedevano. Per questi
motivi la servitù era importante per fornire il tempo libero e
questo era tanto più vero quanto più l’esercizio del
potere era concentrato nelle mani di re e reucci, di nobili e signori
della Chiesa. Nel mondo musulmano gli spettacoli del potere erano alquanto
meno imponenti e, se possiamo così esprimerci, più popolari
poiché lo stato voluto da Maometto non ammetteva capi o imperatori,
ma solo difensori della fede e grandi credenti. Questa differenza è
importante qualitativamente perché nel mondo dell’Islam sia
il ricco notabile sia il califfo o l’emiro tutto questo tempo libero
lo dedicavano… alla cultura di persona e al mecenatismo verso le
menti locali inclini alla ricerca scientifica! E qui i nomi di emiri o
califfi colti e di uomini indigenti forniti di mezzi dal califfo per impegnarsi
nella ricerca sono una lista lunghissima…
Tutto al contrario del mondo “cristiano” che invece amava
la pompa e le discussioni vuote sui temi più astrusi e negava alle
menti più libere di indagare la natura.
Malgrado ciò, non ci interessa tanto sottolineare che il mondo
islamico fosse più avanti nel progresso materiale e spirituale
in quel periodo, quanto invece il risultato generale ove l’Europa
progredì e una delle cause scatenanti (lasciamo al lettore giudicarne
il peso e l’importanza) di questo progresso fu proprio l’aumentare
del tempo libero per la gente dell’élite… per la presenza
degli schiavi!
Bibliografia essenziale:
D. Abramov – Tysjaceletie vokrug Cernogo Morja, Moskva
2007
V. I. Sergeevic’ – Drevnosti Russkogo Prava, Moskva 2006
D. Quirini-Poplawska – Niewolnictwo i niewolnicy w Europie od starozytnosci
po csasy nowozytne, Krakòw 1998
Y. Rotman – Les Esclaves et l’esclavage, de la Méditerranée
antique … VI – XI siècles, Paris 2004
M. Lombard – L’Islam dans sa première grandeur, Paris
1971
I, J. Frojanov – Rabstvo i Dannicestvo, Sankt-Peterburg 1996
V. Dolgov – Byt i Nravy Drevnei Rusi, Moskva 2007
O. R. Constable – Trade and Traders in Muslim Spain, Cambridge 1994
SI RAMMENTA AI LETTORI
ANCHE IL SEGUENTE LAVORO DELLO STESSO AUTORE !!!
antonio 7° lo schiavo di S.Marina
[nls8 production]
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